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Il caso emblematico del piccolo Charlie Gard non può che interrogare tutti noi genitori. Da quando la morte è il migliore interesse di un essere umano?

Il caso emblematico del piccolo Charlie Gard non può che interrogare tutti noi genitori.

Charlie Gard è un bambino inglese di dieci mesi affetto da una rara malattia genetica, che i tribunali inglesi hanno, di fatto, condannato a morte in tre differenti gradi di giudizio, autorizzando l’ospedale, che ne aveva fatto richiesta perché sosteneva l’incurabilità del bambino, a spegnere le macchine che lo aiutano a respirare.

Questo caso ci interroga in primo luogo perché i genitori di Charlie, che si sono battuti da subito contro la decisione dell’ospedale di “staccare la spina” al figlio, sono stati di fatto esautorati nel primo grado di giudizio in quanto “emotivamente coinvolti”: al loro posto la corte ha nominato un tutore, che da allora decide al posto loro cosa sia bene o meno per il loro figlio. Ci domandiamo perché un genitore non dovrebbe essere emotivamente coinvolto davanti alla decisione di un ospedale di staccare la spina al figlio.

In secondo luogo questo caso ci interroga perché ai genitori, che avevano raccolto attraverso una petizione un milione e trecentomila sterline per tentare una cura sperimentale negli Stat Uniti, è stato negato l’espatrio con il bambino, negando loro la possibilità di usufruire di tale opportunità, che per lo Stato inglese sarebbe stata a costo zero. Le ragioni addotte, e cioè quelle di non causare stress e ulteriore sofferenza al piccolo Charlie, sembrano deboli davanti a morte certa decretata con una sentenza.

In terzo luogo sorprende l’ostinazione con cui è stata portata avanti la battaglia da parte di coloro che vogliono negare a Charlie la possibilità di tentare la cura sperimentale, che hanno più volte parlato di accanimento terapeutico, quando invece il bambino non è sottoposto ad alcun trattamento terapeutico. Ventilazione e nutrimento non sono trattamenti terapeutici.

In quarto luogo sorprende ancora come, davanti alle proposte ricevute da un ospedale statunitense e dall’ospedale Bambin Gesù di Roma di accogliere il piccolo malato per tentare una cura, la risposta sia stata ancora quella che, anche se trasferito, a Charlie si doveva applicare il protocollo deciso nelle sentenze emesse, e cioè condannarlo a morte per soffocamento.

Sorprende anche quanto tutto questo sia stato sentenziato dalle corti ripetendo il mantra che fosse “nel miglior interesse del bambino”: da quando la morte è il migliore interesse di un essere umano? Da quando negare la speranza di una cura, seppur sperimentale, può essere nel miglior interesse di un malato?

Come genitori non possiamo che plaudire alla moltitudine di coloro che in questi mesi, e in particolare in questi ultimi giorni, hanno dato la loro voce e il loro tempo per sostenere la battaglia dei coniugi Gard per salvare il figlio Charlie, che hanno scosso le coscienze e puntato i riflettori sul caso sotto un’altra luce, lontana dal politicamente corretto che troppo spesso soffoca e inaridisce il dibattito, soprattutto quando si tratta di temi eticamente sensibili.

Nelle ultime ore è emersa la possibilità di tentare una terapia vera per Charlie Gard. Ora che sappiamo che una speranza per il piccolo Charlie esiste, non possiamo che auspicare che le corti rivedano la loro sentenza, e concedano al piccolo Charlie la possibilità di essere curato.

Per noi genitori resta aperto un interrogativo ancora: se i tribunali sono così solerti a togliere la potestà genitoriale in casi tragici come questo, dove qualcuno può prendere la decisione di togliere la vita a tuo figlio mentre a te vengono di fatto legate le mani, cosa succederà in tutti gli altri casi in cui siamo coinvolti come tutori e primi educatori dei nostri figli?