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«Serve un patto tra generazioni La Chiesa metta in gioco le risorse»

Magatti: verso un nuovo umanesimo che investa sui giovani e liberi i patrimoni bloccati nel binomio consumo-rendita

Le sfide del futuro - Il segretario del comitato scientifico della Settimana Sociale tira le fila del dibattito: «L’Italia ha tutte le carte in regola per fermare la spirale di diseguaglianza e sfruttamento e al tempo stesso arginare i rischi della digitalizzazione

Tutto in dieci parole. «Anche la Chiesa deve mettere il suo patrimonio in gioco». Mauro Magatti stacca gli occhi dall’Ipad e butta lì la frase che spiega tutto. Che i cattolici fanno sul serio. Che «l’Italia ha tutte le qualità per essere il luogo del nuovo paradigma» e che per questo la Chiesa è pronta a mettere in gioco «il patrimonio mobiliare e immobiliare accumulato, in favore della ripartenza delle giovani generazioni».

Siamo al bivio della ripresa. Si decide quanta e soprattutto quale. Secondo il segretario del Comitato della Settimane sociale, il nostro Paese può «cadere ancora di più nella spirale di sfruttamento e disuguaglianza resa possibile da una digitalizzazione che pretenda di organizzare l’intera società come una grande fabbrica; oppure può incamminarsi verso un nuovo sentiero di sviluppo che metta al centro la creatività umana arrivando a delineare una transizione migliore tra vita e lavoro». I cattolici invocano un cambio di paradigma – abbandonare «la strada fasulla dell’illusionismo finanziario » – che ne presuppone un secondo, diretto ad adottare una visione del lavoro 'degno' che è inscritta nell’antropologia cristiana. La cifra dell’assise è l’umanesimo della concretezza: «ci sostiene la convinzione profonda che l’Italia ha tutte le qualità per essere il luogo dove aprire il cantiere di questo nuovo paradigma – ha detto Magatti –, perché la tradizione italiana si distingue per non avere mai ridotto il lavoro alla astrazione, alla serialitá, alla banalizzazione…». Si prefigura una primavera: «Serve un patto intergenerazionale, se si vuole fermare il declino: oggi, chi ha il patrimonio non investe perché vuole proteggersi. chi vuole investire non può farlo perché non dispone delle risorse necessarie, ma – ha sottolineato Magatti – bisogna accompagnare i giovani nella costruzione di un modello di sviluppo nuovo: solo la qualità del lavoro può fare la quantità del lavoro».

Le proposte che stanno uscendo dalla Settimana sociale hanno una natura scientifica e non omiletica. «Non c’è crescita se la comunità non si cura dei propri giovani – ha detto –, neanche di quelli più fragili; in una prospettiva di sviluppo, l’inclusione è un principio economico…». Eppure, sarebbe sbagliato ridurre l’investimento sui giovani a un problema di algebra previdenziale: quest’Italia «è invecchiata, ma soprattutto è invecchiata male», ha detto il sociologo, secondo il quale abbiamo adottato «un modello antigenerativo, tutto schiacciato sull’io, il breve termine, il binomio consumo-rendita».

La Chiesa soffre nel vedere una ripresa così lenta e parziale: «Crescono i profitti, la produttività, le quotazioni di borsa, ma solo in misura modesta l’occupazione – ha puntualizzato il relatore –. La ricchezza rimane troppo concentrata e la crescita geograficamente troppo difforme». Poiché la crisi del 2008, ha concluso Magatti, «ha cambiato le condizioni dello sviluppo» e «una buona parte del 'lavoro umano' sarà sostituito dal lavoro delle macchine» e adesso si naviga «tra la Scilla della società senza lavoro (jobless society) e la Cariddi di una società del tutto lavoro (total job society)», ci si salva solo «rendendo la digitalizzazione una benedizione e non una maledizione».

Come? I consumatori vanno educati a scegliere tra imprese e prodotti sostenibili, visto che l’atto d’acquisto è diventato un atto po-litico, e bisogna assecondare un movimento generativo che è già in atto nelle giovani generazioni e nelle imprese e che si sta sviluppando all’insegna della «sostenibilità nella sua accezione ampia, cioè ambientale e sociale». In questa fatica ci sostiene la consapevolezza che il progetto di un lavoro degno e sostenibile non discende (solo) da un atto di fede: «numerose ricerche dicono – ha ammonito il sociologo – che le imprese di successo sono quelle che adottano una strategia centrata su qualità integrale della produzione, relazioni basate sulla fiducia e il reciproco riconoscimento con i dipendenti e la filiera dei fornitori; attenzione al territorio e all’ambiente. La logica dello sfruttamento invece, basata su una eterna lotta su quantità e prezzo, non porta molto lontano».