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Alternanza tra scuola e lavoro, il sogno degli studenti trentini

Una proposta di legge di iniziativa popolare per vedere riconosciuti i contributi figurativi delle attività svolte nel triennio. «Servono 50mila firme». Al via i banchetti nelle città

Non si accontentano di studiare il diritto sui libri. Vogliono viverlo e praticarlo in prima persona, come cittadini responsabili e partecipi alla vita della comunità nazionale. Così, gli studenti di quinta dell’Istituto tecnico economico “Antonio Tambosi” di Trento, si sono messi in testa di portare in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare per veder riconosciuti i contributi figurativi durante le attività di alternanza scuola- lavoro svolte nel triennio.

Spronati dalla professoressa di Diritto, Giovanna Giugni – con un passato da attivista nei movimenti referendari – si sono riuniti nel Comitato “Vivere il diritto” e sono già arrivati a depositare, l’8 novembre scorso, la richiesta alla Corte di Cassazione, come da annuncio pubblicato, il giorno dopo, sulla Gazzetta Ufficiale.

«Chiediamo che l’impegno e la serietà degli studenti in alternanza siano premiati», spiega Michele Rosanelli, 18 anni, portavoce degli alunni del “Tambosi”, illustrando le motivazioni del progetto, inserite anche nel Preambolo alla proposta di legge, scritto dagli stessi ragazzi. «Gli studenti impegnati nell’alternanza scuola-lavoro – vi si legge – svolgono attività utili all’impresa e alla comunità, attività che vanno riconosciute, a nostro parere, tramite l’erogazione di contributi figurativi». Richiesta che affonda le radici nell’articolo 36 della Costituzione: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». E siccome il lavoro di questi ragazzi è, per il momento, andare a scuola, la domanda non è affatto peregrina. Anche perché, fino alla riforma del ministro Bussetti, dovevano realizzare, nel triennio, almeno 400 ore di alternanza (oggi ridotte a 180 dalla riforma del ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti), pari a dieci settimane di lavoro.

«Ci siamo trovati a eseguire le stesse mansioni di “colleghi” retribuiti, mentre a noi non spettava nulla – ricorda Rosanelli –. Se non ci vogliono dare uno “stipendio” per il lavoro che svolgiamo oggi, almeno ci diano una forma di tutela e garanzia per la pensione di domani. Ci pare un buon compromesso».

Ora, però, per gli studenti trentini – primi e finora unici in Italia a imbarcarsi in un’impresa simile – comincia la fase più difficile. Entro aprile, dovranno raccogliere le 50mila firme necessarie a portare la proposta all’attenzione del Parlamento. Hanno già predisposto i moduli, inviati a tutti i Comuni trentini e anche di fuori Regione, come, per esempio, Milano, dove, tra l’altro, l’iniziativa è stata accolta con favore. In queste settimane sono stati presenti con un banchetto per la raccolta firme in città e lo saranno anche sabato, dalle 10 alle 19, in piazza Pasi. Un notaio di Trento, inoltre, ha messo a disposizione il proprio studio in città e autenticherà gratuitamente le firme di quanti vorranno sostenere la proposta di legge.

«La nostra speranza – conclude Michele Rosanelli – è che tante persone firmino aiutandoci a realizzare il nostro progetto di cittadinanza e partecipazione attiva. E che, magari, il nostro esempio sia seguito da altre scuole che vogliono cambiare il sistema ma non sanno come fare».

Avvenire del 22 gennaio 2019