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«La scuola è la mia vita»

Parla la professoressa Di Blasio, che un anno fa è stata sfregiata da un suo studente «Se Rosario avrà bisogno di essere punito, sarà la stessa esistenza a farlo», sostiene

«La vera emergenza educativa è nella famiglia. I ragazzi arrivano a scuola privi dei punti di riferimento di cui avrebbero bisogno». Ne è certa Franca Di Blasio, insegnante di Italiano presso l’istituto Bachelet-Majorana di Santa Maria a Vico, nel Casertano, divenuta suo malgrado nota per l’accoltellamento subito un anno fa da un alunno dopo un tentativo andato male di interrogarlo. Nel frattempo la professoressa Di Blasio è tornata a scuola, «senza la quale non potrei vivere». Sul viso porta ancora i segni di quell’aggressione. Dopo quell’episodio, è diventata il simbolo di una scuola in trincea, chiamata a fronteggiare quella che si presenta come una vera e propria emergenza educativa. Nel corso di quest’anno le sono stati tributati premi ed è stata insignita dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica dal capo dello Stato, Sergio Mattarella. «Ho incontrato tante persone quest’anno, ho vissuto tanti episodi significativi, ho co- nosciuto meglio il mondo della scuola italiana. La sensazione è che non vi sia un vero e proprio rimedio a quella che chiamano emergenza educativa. E, se c’è, non sono io a poterlo indicare. Ma so che la figura dell’insegnante resta centrale».

Professoressa Di Blasio, è passato un anno dal triste episodio che l’ha vista coinvolta. Può essere l’occasione per tracciare un bilancio sia di quanto le è accaduto sia di ciò che sta avvenendo nel mondo della scuola italiana, chiamata a dare risposte a un’emergenza educativa in pieno corso.

Difficile tracciare bilanci, così come è difficile offrire soluzioni. Io dico questo: noi siamo educatori, chiamati a guardare oltre. Per noi, parole come valori, che possono sembrare talvolta vuote, sono decisive: per noi sono veri e propri dogmi della nostra azione educativa. Così come per noi sono importanti le regole, che necessariamente devono impiantarsi su un percorso già predisposto dalla famiglia. Ma è proprio questo che è venuto a mancare negli ultimi anni: la famiglia è venuta meno. Se c’è un lavoro, è un problema perché non c’è tempo per i figli; se un lavoro non c’è, le preoccupazioni prendono sempre il sopravvento. Fatto sta che ai ragazzi vengono a mancare dei punti di riferimento, di cui invece hanno bisogno e che essi stessi chiedono con forza. In questo contesto si inserisce la nostra opera. In quanto portatori di cultura, noi siamo portatori di libertà. In questo c’è il nostro essere punti di riferimento per i ragazzi.

Ha mai incontrato lo studente che la colpì con una coltellata?

No. Pago ancora duramente per quanto avvenuto, sia in termini fisici che morali. Posso dire solo questo: ho incontrato Rosario nel mio percorso, pensavo di poter fare qualcosa per lui. Spero che ora faccia tesoro di quanto avvenuto e possa voltare pagina. Purtroppo quel giorno sono concorse tante casualità a far sì che accadesse quel che è accaduto.

Ora dove si trova?

Dopo un periodo in carcere, so dalla preside che ora sta usufruendo della messa alla prova. Io ho deciso di non costituirmi parte civile nel processo che ha subito: non rientra nel mio modo d’essere.

Ha mai avuto modo di sentirlo almeno?

Ho ricevuto una sua lettera quasi a fine anno, consegnatami dalla preside. Devo dire che da quel che ho letto ancora non sembra aver capito la gravità di quel che ha fatto. Ma è inutile invocare punizioni esemplari. Se Rosario avrà bisogno di essere punito, sarà la vita stessa a farlo.

Lei ha dichiarato fin dal primo momento di aver perdonato e ha chiesto pubblicamente di non punire il ragazzo. «Se punite lui, punite me», disse poco l’episodio.

Rosario non si era mai comportato in modo violento nei miei confronti. Era un ragazzo vivace, ma si trovava sempre la quadra. Ho cercato in quel momento di tendergli la mano, interpretando quel gesto come frutto di un momento di completo buio mentale. Io credo nel valore del perdono, non mi è costato farlo perché corrispondeva pienamente al mio pensiero su quanto era accaduto, anche se era difficile capire a cosa sarei andata incontro a livello morale nei mesi successivi…

Lei parlò anche di un suo fallimento...

Sì, nel senso che ho cercato sempre di tirare fuori il meglio dai miei alunni in termini di profitto, e con Rosario non ci ero riuscita.

Il presidente della Repubblica ha voluto insignirla dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica. Come ha interpretato questo gesto?

Come un segnale di attenzione rivolto a tutti gli insegnanti di Italia. Rappresentavo tutti loro quel giorno.

«In questi anni la famiglia è venuta meno e ai ragazzi è mancato quel sostegno di cui, invece, hanno oggi grande bisogno. Per questo, noi insegnanti, in quanto portatori di cultura, siamo portatori di libertà. Qui c’è anche il nostro essere punti di riferimento per gli studenti»

LA TESTIMONE

Suo malgrado è diventata un simbolo ed è stata premiata anche dal Presidente della Repubblica: «Quel giorno al Quirinale rappresentavo tutti gli insegnanti d’Italia», ricorda la docente