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Agesc: didattica in trincea, la scuola ai tempi della quarantena

Un preside riflette sui cambiamenti delle lezioni e del rapporto tra insegnanti e studenti

Nella scuola, lo spazio e il tempo, il rapporto con gli adulti educatori e i compagni sono determinanti per l’apprendimento di contenuti e modelli di vita. La sospensione della scuola, quindi, interroga tutti. Ci chiede di trovare risposte adeguate e sperimentare soluzioni creative che siano inclusive di tutti gli studenti e non lascino nessuno indietro. Sembra tuttavia che in questa fase ci sia una sorta di congelamento surreale di queste dimensioni che si portano avanti attraverso le videolezioni: mancano le relazioni che la virtualità non riesce a dare. L’uomo non è virtualizzabile perché noi siamo non solo spirito ma anche carne. E in un contesto paradossale in cui lo spirito viene posposto totalmente al corporeo pare strano parlarne. Questa parentesi può insegnarci tante cose come l’insostituibilità della relazione diretta.

Ne abbiamo parlato con il Paolo Fedrigotti, preside del Collegio Arcivescovile di Trento e Rovereto dove l’Agesc è presente con centinaia di genitori e ragazzi. «Lo studio – afferma il preside – è qualcosa di diverso di ciò che ci fa compilare un test in modo corretto o scorrere le pagine di un libro l’una dopo l’altra. È una chiamata per contemplare ciò che siamo in verità e in profondità. Studiare ci conduce a chiedere quale sia la verità di ciò che ci circonda, portandoci a costruire una vita solida, non una vita di carta. La prima verità da mettere a fuoco in questi tempi di lontananza fisica dall’ambiente scolastico – prosegue il dirigente scolastico – è questa: lo studio è gratuito, si studia per il proprio bene, per quello degli altri e per quello della società. Solo chi affronta lo studio in modo non egoistico

lo può affrontare in modo autentico; per il nostro bene e per quello di coloro che abbiamo accanto. In questo modo si potrà vivere la propria vita “smarcandosi” da situazioni di disonestà e di male per sé e per gli altri. Secondo: lo studio ha un buon sapore. Perché lo studio possa formare veramente una persona occorre che questa acquisisca la passione e il gusto per lo studio».

Come? «Semplice – prosegue Fedrigotti – prendiamo un grafico a torta: una piccola fetta è rappresentata dalle cose che sappiamo di sapere, l’altra fetta, quella più grande delle cose che sappiamo di non sapere, ma la fetta ancora più grande è rappresentata dalle cose che non sappiamo di non sapere. Lo studio è un accompagnamento verso queste due dimensioni, le quali possono svelare il senso profondo ed ultimo di ciò che ci circonda. Terzo: lo studio richiede tempo; la fretta, la distrazione, la superficialità sono nemiche dello studio. Si vive in un tempo che esalta la velocità e nel quale si rischia di essere consumatori bulimici di tutto (come facciamo anche con le relazioni). Dobbiamo prenderci il tempo per affrontare quello che lo studio ci presenta con ponderazione. Si rischia altrimenti di consumare senza assimilare, di usare senza la lungimiranza di condividere. Lo studio esige pazienza e questa è una dote che il nostro tempo deve riscoprire».