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Lo Stato cerca risorse per l’emergenza Covid? Allora sostenga le scuole paritarie

Le trentamila firme depositate al premier Conte non sono solo nomi, ma persone, famiglie, docenti che hanno davvero a cuore l’istruzione. Oltre alle riunioni in villa occorre dare risposte concrete. L'Agesc ne suggerisce alcune.

In questo tempo in cui l’emergenza sanitaria Covid-19 porta tutti a “pensare” dove reperire risorse finanziarie, può sembrare che la scuola sia un terreno tabù, per il quale non è possibile pensare ad un riposizionamento della spesa. L’Agesc, ha formulato alcune ipotesi che andiamo ad analizzare soprattutto sulla scuola secondaria di secondo grado.

La spesa annua per l’istruzione secondaria di secondo grado in Italia ammonta a circa 19 miliardi di euro.

Nel sistema d’istruzione “non statale” (scuole paritarie e formazione professionale regionale) il costo allievo corrisponde circa al 36% rispetto a quello della scuola statale (nel 2019 circa 10mila euro a studente per la scuola statale, contro una media di circa 3.600 euro nella scuola non statale - dati Miur).

Tuttavia, questa argomentazione apre la strada ad un altro interessante scenario: se lo Stato finanziasse le scuole paritarie, avrebbe un risparmio notevole per ogni studente. Non del 64% perché sappiamo bene che la scuole paritarie coprono a stento i costi, ma dando loro una maggiore quota pro capite (fosse anche 5mila euro per studente), con un servizio migliore avrebbe un risparmio importantissimo. Nell’ipotesi di un passaggio da un sistema statale ad un sistema paritario, l’attuale investimento di 19 miliardi si dimezzerebbe a 9,5 miliardi. A questo punto si può traslare il ragionamento a tutto il sistema scolastico nazionale (dalla primaria alla secondaria di primo e secondo grado, visto che la scuola dell’infanzia è già prevalentemente gestita da enti non statali).

Dei 55 miliardi (fonte Aise 15.12.2019) attualmente investiti, se ne potrebbero risparmiare 27,5.

Ed eccoci all’obiezione finale: come può lo Stato abdicare al suo dovere d’istruire (anche se primariamente è un compito destinato alla famiglia e quindi ai genitori), e lasciare in mano ad altri la formazione e l’istruzione dei suoi cittadini?

A questa obiezione rispondiamo con quest’altra: che Stato è quello che non è in grado di dare precise linee guida su come debba svolgersi l’istruzione dei suoi cittadini, e non sia in grado di controllare e fare in modo che tali linee siano attuate?

Tuttavia, è evidente che una buona amministrazione pubblica dovrebbe fissare un benchmark sulla percentuale di offerta formativa non statale da finanziare (il 12% come qualche regione ha già fatto per la sanità?), sapendo che non deve temere la concorrenza, ma deve preoccuparsi di garantire i diritti: il diritto delle famiglie di scegliere quale tipo di istruzione dare ai propri figli, a parità di condizioni. Se lo stato investisse nell’istruzione non statale (ma pubblica paritaria) il 12% dei fondi impiegati annualmente per l’istruzione statale (11% per le scuole paritarie di ogni ordine e grado, 1% per la formazione professionale) avremmo questo scenario: 11% di 55 miliardi pari a 6 miliardi e 50 milioni che a 5mila euro pro capite, permetterebbero di offrire il servizio a 1.210.000 studenti (dei 7.500.000, dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado) quindi allo Stato rimarrebbero da istruire circa 6.290.000 studenti, per una spesa approssimativa di 46.126.666.667 euro (dato che il costo procapite nella primaria e nella secondaria di primo grado è inferiore, si è preso il costo medio di 7.330 euro a studente); 1% di 55 miliardi, pari a 550 milioni ai quali se ne aggiungerebbero altrettanti stanziati dalla Ue per un totale di 1,1 miliardi che a 5mila euro pro capite, permetterebbero di offrire il servizio a 220mila studenti (anche questi da sottrarre al novero dei 7.500.000, anche se tutti nella quota della secondaria di secondo grado, quindi producendo per lo Stato un risparmio di 2,2 miliardi di euro.

Lo Stato, destinando il 12% della spesa annua dell’istruzione primaria e secondaria (ovvero 6,6 miliardi di euro) alla scuola pubblica paritaria e alla formazione professionale regionale, realizzerebbe: il risparmio di minimo 2.273.333.333 euro, l’eliminazione della disparità scolastica attuando la vera parità, una sostanziale diminuzione della dispersione scolastica, l’aumento dell’offerta di formazione professionale su tutto il territorio.

Le trentamila firme depositate al premier Conte non sono solo nomi, ma persone, famiglie, docenti che hanno davvero a cuore l’istruzione.

Assegnando una quota pro capite di 5mila euro agli alunni, l’erario risparmierebbe come minino 2,7 miliardi di euro