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Solo autonomia (e vera parità) permetteranno alle scuole di superare la pandemia

Governo ed esperti concordano sulla necessità di tornare alle lezioni in presenza. Ma intanto 4 milioni di studenti sono in DAD

Fonte:Avvenire

L'appello dei genitori
Mentre il sindaco di New York, ha invitato le famiglie a prepararsi alla didattica a distanza (Dad) perché probabilmente le scuole saranno chiuse da lunedì, in otto città Italiane centinaia di studenti hanno manifestato sedendosi davanti al proprio istituto scolastico per seguire le lezioni per testimoniare la loro volontà: tornare in classe al più presto.
E la politica cosa dice? Il premier Conte afferma: «I nostri dati ci dicono che le scuole di per sé non sono focolai di contagio». La ministra Azzolina ribadisce la volontà di tenere aperte le scuole anche se la «Dad è occasione e sfida». Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico dichiara: «Per la stragrande maggioranza dei bambini i vantaggi di tornare in classe superano di gran lunga il basso rischio di ammalarsi di coronavirus …. Il tempo trascorso fuori dalla scuola è dannoso per lo sviluppo cognitivo e accademico, soprattutto per i bambini svantaggiati». Infine Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità ha detto: «La nostra scuola è nelle condizioni di assicurare la sicurezza degli studenti fino alla fine dell’anno scolastico. Continuare con la didattica a distanza espone i ragazzi a una deprivazione sociale, culturale e affettiva». Nonostante le convinzioni espresse da chi governa il Paese, la scuola e la scienza, gli studenti costretti dai decreti del governo e delle Regioni a restare a casa sono circa quattro milioni, pari al 46,6% del totale; inoltre l’Italia è fra i 5 Paesi europei che hanno chiuso le scuole all’inizio della pandemia e non le hanno più riaperte sino all’inizio del nuovo anno scolastico. La sociologa Chiara Saraceno a giugno dichiarò che queste chiusure non facevano che aumentare la dispersione scolastica e che era stato un errore rinviare la riapertura a settembre. E questo ha un costo economico: il governatore della Banca d’Italia, Visco, dichiarò che un anno d’istruzione in più, nel lungo periodo, potesse essere stimato «in un prodotto pro capite più elevato di cinque punti percentuali»; l’Ocse a settembre nell’annuale rapporto sulla scuola ha scritto che la perdita di un terzo dell’anno scolastico causerebbe una carenza di competenze e un calo della produttività in grado di ridurre il Prodotto interno lordo dell’1,5% in media per il resto del secolo.
Giancarlo Frare, Presidente Agesc, intervenendo in audizione presso la Camera dei Deputati, ha dichiarato: «Bisogna porre in essere tutte le azioni possibili affinché tutte le scuole italiane riprendano ad
essere scuola. I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, tutto il Paese ha bisogno della scuola. La didattica a distanza è didattica di emergenza, non se ne può fare un uso prolungato o andrebbe a ridurre le opportunità didattiche per i nostri figli ». Concetti ripetuti al Ministro nell’incontro coi Forum degli studenti e dei genitori.
È evidente che ci sono state gravi mancanze da parte del governo e del Ministero, nonché delle Regioni nell’organizzare questo anno scolastico, in particolare i servizi di trasporto sui mezzi pubblici. Ma il problema sta nel sistema centralistico: nessuna struttura può organizzare i trasferimenti di otto milioni di studenti e nemmeno le Regioni riescono a farlo per le centinaia di migliaia di alunni dei loro territori; bisogna che in autonomia le scuole possano organizzarsi ma per questo occorre dotarle dei fondi adeguati anche per predisporre il personale, gli orari, gli spazi e tutto quanto necessario a far fronte ai problemi attuali. Senza una vera autonomia, e di pari passo senza una reale parità di tutte le scuole, il sistema di istruzione italiano continuerà a risultare in coda fra tutti i Paesi europei.
L’Agesc ora è preoccupata soprattutto per le prospettive della scuola italiana: non basta dire che l’istruzione è indispensabile, occorrono interventi che permettano una ripresa del percorso formativo in presenza. Ma le risorse umane e finanziarie necessarie non possono essere immesse in un sistema che ha già fallito, si devono modificare attraverso l’autonomia e la parità i meccanismi decisionali della scuola e permettere a chi lavora e vive negli istituti di operare per predisporre le risposte adeguate alle diverse realtà in cui operano. Chiedere e realizzare l’autonomia e la parità non significa parlare di principi astratti, ma creare le condizioni per migliorare la scuola e per attrezzarla ad affrontare anche la difficile situazione pandemica.