I nuovi professionali nascono vecchi, così il Miur aiuta l'abbandono

Il Miur ha reso nota la nuova struttura degli istituti professionali. Ci sono tutti gli ingredienti per aumentare l'insuccesso scolastico

In questi giorni il Miur ha reso nota la nuova struttura degli istituti
professionali, le scuole che fino a qualche decennio fa costituivano uno
dei punti di forza della nostra crescita economica e culturale perché
insegnavano bene un mestiere di cui c'era richiesta. Purtroppo — lo
denunciamo da tempo come Gruppo di Firenze — negli ultimi
venticinque anni sono stati progressivamente snaturati, tagliando le
ore di laboratorio, indispensabili per acquisire con la pratica la
competenza professionale, e riempiendo il percorso di studio di un
numero di materie assolutamente intollerabile.
La revisione licenziata dalla commissione ministeriale presenta
pochissimi pregi (tra questi l'aver opportunamente aumentato il
numero degli indirizzi), mentre conferma, e in parte addirittura
peggiora, i difetti di cui sopra. Si è persa così l'occasione, se non di
risanare, almeno di correggere la causa principale degli insuccessi e
degli abbandoni (la cosiddetta "dispersione"): e cioè la grande
distanza tra le aspettative di chi sceglie queste scuole e una realtà fatta
di troppa teoria e di insufficiente esperienza concreta.
Non è necessaria una laurea in pedagogia per capire che una scuola
strutturalmente dispersiva non può che "disperdere" i propri ragazzi.
Ci voleva, quindi, il coraggio di ristrutturare l'orario a favore delle
materie "professionalizzanti" e delle relative esercitazioni. E lo si
doveva fare con norme nazionali valide per tutti.
Si è invece scelto una soluzione molto italiana, quella di scaricare
questo compito sulle singole scuole. Le materie restano tutte,
inutilmente accorpate in assi culturali, ma ciascuna scuola potrà
decidere in che misura penalizzarne alcune per valorizzarne altre.
Tutto ciò, però, sarà possibile solo a patto che non si determinino
cambiamenti negli organici. Vale a dire che si potrà cambiare
qualcosa purché gli insegnanti non perdano il posto. Pertanto
sicuramente quasi nulla cambierà, come se in gioco non ci fosse il
futuro dei ragazzi e del nostro Paese, ma — appunto — il nulla.
Nel tentativo di limitare la dispersione, il decreto impone, inoltre,
l'adozione di una metodologia che favorisca un insegnamento sempre
più personalizzato, come se nei professionali già non si concentrasse
un numero elevatissimo di disabili, di ragazzi con "bisogni educativi
speciali" (Bes) e di quelli con problemi, veri o presunti, di dislessia,
disgrafia, discalculia: tutti allievi per i quali è da tempo obbligatoria
una didattica — appunto — "personalizzata" (che, tra l'altro, in non
pochi casi si risolve in un puro e semplice abbassamento del livello di
preparazione).
A completare il quadro, il testo declina e parcellizza, nella solita antilingua
ministeriale, una sfilza di competenze, abilità e conoscenze, di
formule astratte ed enfatiche che dirigenti e insegnanti dei
professionali non potranno, una volta di più, che rassegnarsi a subire
(o a ignorare).


ilsussidiario.net del 28 marzo 20218 - VALERIO VAGNOLI