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UN 25 APRILE DI RICONCILIAZIONE

Fa un po' specie celebrare anche quest’anno il 25 Aprile in un contesto di “guerra europea” alle porte di casa. La Festa della Liberazione è la festa della fine di un mare di dolore, di sofferenze, di morti, di guerra e il viverla per il secondo anno consecutivo mentre si combatte e si muore in Ucraina è doloroso.
In quella terra, tra quelle pianure e piccole cittadine che per molti di noi sono diventate tristemente famose (Njkolajevca, Leopoli...) si consumava 70 anni fa l’agonia di tanti giovani italiani mandati a morire nelle steppe russe della pianura del Don.
Quei ragazzi non ci sono più ma ci sono giorni celebrativi e feste che ce li fanno tornare alla mente, così come memoria vogliamo fare dei tanti altri non più tornati dalle isole ioniche e dalla Grecia o dal Nord Africa.
Il 25 Aprile è una di queste.
Per tornare a casa, per liberare “casa”, per difendere onore ed ideali, tanti giovani finirono per continuare a combattere anche dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43 protagonisti consapevoli del sogno di costruire una nuova Italia, una nuova democrazia.
Dire che questo non ha lasciato ferite, cicatrici che nel tempo tornano a farsi sentire, non sarebbe onesto; ma altrettanto poco onesto sarebbe continuare a farci del male strumentalizzando questa ricorrenza, caricandola di significati “di parte”.

Per questo il 25 Aprile ci richiama ad una responsabilità collettiva vale a dire ricordare, soprattutto alle giovani generazioni, che libertà e democrazia non sono "doni" ma sono conquiste raggiunte con il sacrificio; sono patrimonio collettivo da difendere e mantenere costantemente.
Su questo terreno la scuola può e deve fare molto perché forme di discriminazione, violenza, mancanza di democrazia sono sempre dietro l’angolo quando rinunciamo ad educare le generazioni future a questi valori.