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La ripartenza fra dubbi e paure

Insegnanti e dirigenti scolastici alle prese con il rebus delle nuove regole: dagli spazi che mancano ai test sierologici. E chi ha patologie croniche chiede di non salire in cattedra per timori di contagio

«Questa volta mi arrabbio. Non può passare l’idea che ci sono centinaia, migliaia di insegnanti che per paura non vogliono tornare a scuola e magari preferiscono le lezioni da remoto. È assolutamente falso». Alza la voce Sandra Biolo, segretaria regionale della Cisl Scuola. È vero, invece, che ci sono docenti colpiti da gravi patologie - il diabete, l’asma, l’allergia, il tumore ed altre ancora - che sono preoccupati dei rischi a cui vanno incontro e stanno formalmente chiedendo di essere esentati dall’insegnamento. E tra questo personale ci sono anche degli amministrativi. La direttrice dell’Ufficio Scolastico Regionale, Carmela Palumbo, spiega che si tratta di «un problema attuale». Peraltro non ancora quantificato. Sono 70 mila i docenti in Veneto, il 30 per cento sono precari e riceveranno la nomina solo tra l’1 ed il 14 settembre. Risultano, dunque, ben 21 mila. Una quantità enorme. Anche qualcuno di loro potrebbe fare un passo a lato. Prendiamo il caso dell’Istituto comprensivo di San Martino Buonalbergo, in provincia di Verona, la dirigente Anna Paola Marconi ha 1.500 allievi, 180 insegnanti, una ventina di amministrativi. «So che più di una trentina soffrono di patologie e sarebbero legittimati a chiedere, in queste condizioni di possibile contagio, l’aspettativa. Ma l’aspettativa Covid non esiste. All’inizio della pandemia è stato autorizzato il congedo parentale, attraverso la '104', raddoppiata da 3 a 6 giorni al mese. Ma fino ad oggi manca anche questa opportunità ». La professoressa Marconi ha compiuto una puntuale ricognizione fra le disposizioni dell’Istituto superiore di sanità, del Cts, del Governo. «Ho trovato un recente riferimento generico alla categoria dei 'lavoratori fragili', manca però una checklist con le patologie contemplate e non è chiarito neppure chi certifica che costoro non possono stare in classe. Devono essere inviati all’esame di una commissione medica regionale, ma il primo posto libero arriva dopo 6 mesi. E nel frattempo? I ’fragili’ devono rimanere a casa, in malattia, oppure essere collocati in qualche altro servizio? E, in ogni caso, chi e come darà copertura ai loro posti?».

Alberto Raffaelli dirige l’Istituto di formazione professionale Dieffe di Valdobbiadene, tra i più vivaci del Veneto. «Il problema delle fragilità colpisce sia gli allievi che il personale docente ed amministrativo. È ovvio che chi ha delle patologie a rischio è saggio che si riguardi; speriamo che al più presto arrivino serie disposizioni da Roma. Tanti insegnanti, invece, dicono di temere il contagio per la preoccupazione di trasmetterlo magari a familiari in fragilità, piuttosto che incubarlo loro stessi. È evidente che ogni Istituto ha assunto delle precauzioni. Non solo il distanziamento, le mascherine, l’igienizzazione, le finestre aperte, ma anche le lezioni scaglionate, così pure la ricreazione ». L’importante per chi ritorna a scuola è un’adeguata formazione, insiste Raffaelli, «alla corresponsabilità ». A questo punto scatta un’altra difesa da parte della dirigente della Cisl. «Non è assolutamente vero – tiene a dire Biolo – che tanti insegnanti si rifiutano di fare il test rapido. È vero, invece, che per disposizione dei competenti organi del Governo i precari non possono farlo se non hanno la nomina. Gli altri sì e in gran numero costoro, dal 24 agosto hanno cominciato a prenotarsi». Sullo sfondo, come non bastasse, la proteste di un’altra categoria che potrebbe complicare ancora di piu’ la riapertura delle scuole: quella dei medici di base chiamati ad effettuare test (gratuiti e su base volontaria) a tutto il personale docente. Ad oggi solo il 50% dei medici hanno risposto alla chiamata dicendosi disponibili ad effettuare i test (test effettuati ad oggi su 10 mila insegnanti, circa il 10% del totale). Gli altri si sarebbero rifiutati parlando di rischi, dell’eccessivo carico di lavoro e della mancanza di un corrispettivo economico.

Avvenire del 28 agosto 2020 - Francesco Dal Mas