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Lo stop all’alternanza scuola-lavoro diventa un boomerang per il Governo

Il Governo ha deciso di tagliare le ore di alternanza scuola-lavoro obbligatorie: una mossa che
non aiuta le imprese, gli studenti e lo stesso esecutivo

Molte decisioni di questo Governo lasciano perplessi prima
ancora che per il merito perché non se ne capiscono né le
ragioni, né quale volontà le esprima. Sono talvolta questioni
che non guadagnano i titoli delle prime pagine dei giornali,
ma che lasciano sgomenti per come si stanno disfando
riforme importanti senza dare nemmeno le ragioni che
cerchino di chiarire il percorso futuro. La vicenda
dell’alternanza scuola-lavoro ne è forse il caso più
macroscopico. All’avvio del nuovo Governo il ministro
dell’Istruzione modificò, diciamo al volo, la normativa al fine
di bloccare e rinviare l’entrata in vigore della centralità del
percorso di alternanza nelle maturità del 2019.
L’alternanza era stata introdotta oltre 6 anni fa, ma finché il
Governo Renzi non la rese obbligatoria per tutti, e la pose
come parte importante per la valutazione finale dei percorsi
scolastici, era rimasta lettera morta. D’altro canto la sua
introduzione obbligatoria per tutti i corsi secondari,
compresi i licei, e con un minimo di ore nell’ultimo triennio,
aveva sollevato obiezioni. Vi erano state le proteste di tecnici
del settore che erano per l’introduzione ma limitandone la
portata in termini di valore per la valutazione finale dello
studente e le proteste degli stessi studenti che, con logica
suicida, tendevano a rifiutare inserimenti lavorativi.
L’intervento del Ministro raccoglieva pertanto un po’
furbescamente (populismo educativo?) le proposte
studentesche, ma anche le osservazioni di tecnici del settore.
Mentre mandava un segnale che molti interpretarono come
una marcia indietro sull’alternanza, il Ministro ne difese il
principio e disse che si era di fronte a un provvedimento
finalizzato solo a prendere tempo per una riflessione più
approfondita. Peccato però che le parole sono state poi
smentite dai numeri. Si è visto cioè nelle misure economiche
presentate con la Legge di bilancio che il taglio delle ore di
alternanza previste come obbligatorie, e l’incertezza sul peso
che avranno nelle maturità, vale 56,52 milioni di euro già dal
2019. Tale taglio diviene permanente e finanzia misure
esterne al sistema formativo ed educativo.
Ad accentuare il senso di incertezza e precarietà è arrivata
poi la notizia che il sottosegretario all’Educazione e il
ministro per lo Sviluppo economico hanno sottoscritto un
protocollo d’intesa che assegna al ministero dell’Economia il
ruolo di promotore e garante per percorsi scuole-imprese
sempre più aderenti alle esigenze del mercato del lavoro, allo
sviluppo delle imprese del territorio e alla qualità dei progetti
rispetto all’innovazione e all’internazionalizzazione che
interessano i settori produttivi. Insomma, ciò che da un lato
si smonta si vorrebbe ricostruire in un’altra direzione
si smonta si vorrebbe ricostruire in un altra direzione.
Peccato che vale però il taglio delle risorse e quindi il
messaggio arrivato al Paese è che questo Governo non vuole
portare avanti l’alternanza scuola-lavoro.
Nel Paese il clima è però cambiato. Dopo una partenza che
aveva raccolto opposizioni e perplessità si è assistito a una
crescita costante di collaborazioni fra scuole e sistemi di
imprese. I progetti di qualità sono cresciuti. Alcune Camere
di commercio hanno attivato modelli utili per facilitare
l’incontro fra scuole e mondo del lavoro. Così mentre due
ministeri tagliano e alimentano confusione e qualunquismo
sia gli studenti che le imprese cominciavano a prenderci
gusto. È per questo che nella piattaforma di mobilitazione
degli studenti romani per le prime occupazioni dell’autunno
non vi è, come sperato dal Governo, il no a scuola-lavoro, ma
invece la richiesta di rifinanziare i percorsi di alternanza. La
stessa posizione si trova negli appelli dell’organizzazione
delle imprese metalmeccaniche e di altre categorie
confindustriali che hanno ribadito che il sistema
dell’alternanza non va smantellato. Le prossime
manifestazioni del partito del Pil hanno anche il tema della
scuola -lavoro come base della protesta.
Solo lo stato confusionale creato da un contratto di
governo che non si confronta con la realtà può non
comprendere le ragioni di tale protesta. L’avvio
dell’alternanza scuola-lavoro era attesa nel nostro Paese da
decenni. Era il tassello che mancava nel nostro sistema
formativo. La sua introduzione è stata perciò accolta come
indispensabile per tutto il settore della formazione tecnica e
professionale. Qui le esperienze di collaborazione progettale
fra scuole e imprese ha già creato una rete di esperienze di
grande interesse. Ciò concorre a correggere il mismatching
esistente fra scuola e mondo del lavoro che risulta molto più
alto in Italia rispetto ai paesi dove il sistema duale è più
sviluppato.
Si pensi che nel secondo anno di applicazione del sistema
duale nella formazione professionale gli studenti coinvolti
sono cresciuti del 77% (circa 8.000 in tutta Italia e il 50% in
Lombardia). A questo risultato porta una capacità (presente
in tutte le regioni anche se con squilibri territoriali profondi)
di costruzione di rapporti fra formazione e imprese, che
coinvolge sia le grandi imprese che il tessuto di Pmi.
Il tassello dell’alternanza è parte essenziale di questo
processo per una nuova collaborazione fra sistema scolastico
e formativo e sistema delle imprese. In poco tempo ha
cominciato a essere apprezzato, ma un Governo confuso
rischia di affossarlo senza sapere il perché.

ilsussidiario.net del 30.11.2018 - Massimo Ferlini