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Via il tema dalle medie, l'ultima trovata per creare spiriti nani

Le nuove linee guida per la prova di italiano agli esami di terza media impediscono ai giovanissimi di cimentarsi con una "loro" storia, proibendo loro di sognare. RICCARDO PRANDO

Scrive Alessandro D'Avenia nel suo Ogni storia è una storia d'amore,
ai primi posti nella classifica dei libri più venduti in Italia nel 2017,
che "senza storie impazziremmo". Intende "le storie che inventiamo e
sopravvivono nel ricordo" e che "si mescolano al nostro vivere
quotidiano come una ipotesi per abitare il caos del mondo, come un
filo che consente di affrontare il labirinto della vita dandogli un senso".
Se questo è vero — e secoli di civiltà universale lo dimostrano, perché
se esistessero solo scienza e tecnica non saremmo qui a raccontare —
le nuove linee guida per la prova di italiano agli esami di terza media,
anticipate pochi giorni fa dal ministero dell'Istruzione, hanno lo stesso
effetto di una bomba nucleare: spezzano in un secondo uno dei pilastri
su cui si fonda non solo la scuola, ma l'intera cultura italiana. Quella
che ha contribuito a creare "il Paese più bello del mondo".
Il gruppo di lavoro ministeriale, guidato dal docente universitario
Luca Serianni, propone infatti di abolire il tema letterario e di
sostituirlo con "una sintesi ragionata degli elementi essenziali di un
testo, una narrazione costruita a partire da elementi forniti dal
docente, l'argomentazione di una o più tesi, magari fra loro
contrapposte". L'obiettivo è chiaro e lo ha scritto senza mezzi termini,
anzi con grande enfasi, Andrea Gavosto su La Stampa: scardinare una
scuola, rispecchiata dallo svolgimento del classico tema, "che privilegia
la capacità di scrittura letteraria, l'erudizione, l'argomentazione
retorica". Domanda: e cosa c'è di male nella letteratura,
nell'erudizione, nella retorica? Da quando sono considerati intralci alla
crescita della persona? Senza accorgersi della contraddizione in cui s'è
infilato, il quotidiano torinese aggiunge che "questo tipo di scuola è
stata sicuramente capace di generare grandi scrittori e scienziati,
letterati, giornalisti di spicco". Così, come si fosse trattato di un
apporto insignificante alla crescita dell'intera società. Vogliamo forse
insinuare che certi intellettuali non servono più? Si arriva poi ad un
passaggio che lascia atterriti per la sua materialità: "Quanti hanno
utilizzato la forma del tema nel loro lavoro e nella vita quotidiana?
Molto pochi, c'è da scommettere".
Ma siccome al peggio non c'è mai fine, ecco la conclusione: "Creare
testi nel rispetto di una serie di vincoli è oggi più utile che scrivere
seguendo liberamente il flusso dei propri pensieri". In altre parole,
meglio seguire il flusso di pensiero degli altri? Da quando seguire il
flusso dei propri pensieri, certo adeguatamente incanalati in classe
dall'insegnante al solo scopo di evitare dispersioni e incongruenze, è
diventato un impedimento allo sviluppo della personalità? Risposta
semplice: da quando la cultura imposta dal potere (che ha sempre un
fine utilitaristico, vedi un certo modo di fare politica, gestire le
banche, amministrare i grandi capitali) ha deciso che quello che conta
è l'utilità pratica delle scelte quotidiane.
Conseguenza: scrivere un tema, nel senso più classico del termine, non
serve, cioè non è utile, perché tanto nella vita quotidiana non si
scrivono certo temi. Esattamente come non si svolge il teorema di
Pitagora, non si svolgono funzioni matematiche, non si calcola l'area di
un esagono, non si mette in pratica la teoria dei vasi comunicanti. Del
resto, per lavorare in banca, in una officina meccanica o dal dentista
serve forse conoscere la Nona di Beethoven o l'impressionismo
francese o le risposte che il cardinale Federico Borromeo diede alle
angosce esistenziali dell'Innominato? Certo che no, secondo Serianni,
Gavosto e chissà quanti altri. Quel che conta è soffocare la fantasia,
cancellare la memoria, annullare il sogno, delimitare il più possibile i
desideri. Quanto a Leopardi, che invece di limitarsi a considerare nella
sua apparenza la famosa siepe si spinse a considerare "infiniti spazi e
sovrumani silenzi di là da quella", peggio per lui: è finito gobbo e senza
amici. Qualche giorno fa un alunno ha interrotto la lezione
invitandomi ad osservare (mirare, avrebbe detto Leopardi) la strana
nuvola che nel cielo fresco del mattino aveva, secondo la sua ignobile
fantasia, "preso le forme di uno sciatore". Bisogna che gli dica di
smetterla di pensare alle nuvole. Non sia mai che vi trovi il filo
misterioso che lo conduca a scoprire il senso della vita.