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Lo Spirito del Cristo risorto ci aiuti a vivere la mistica del noi

Fare un sinodo sulla sinodalità della Chiesa è il cammino che Dio aspetta dalla Chiesa del terzo millennio, ha sottolineato papa Francesco nel discorso in occasione del 50° anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei vescovi. Dobbiamo ringraziare Dio di questa opportunità e impegnarci seriamente come Associazione Agesc a percorrere questo cammino sinodale. Ciò significa camminare insieme secondo la mistica del noi. “Quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio” (Evangelii Gaudium 272).

Cercare Dio nella cella interiore.
Nel primo millennio della storia della Chiesa, la mistica cristiana si è focalizzata sul comandamento dell’amore a Dio e sul cercarlo nello spazio della propria interiorità. Questo taglio eminentemente personale e in certo senso “solitario”, che per secoli ha segnato della sua impronta la mistica cristiana, trova le sue radici nella spiritualità monastica. È noto come, sin dal quarto secolo (seguendo sant’Antonio Abate, san Benedetto poi e tanti altri santi fondatori successivamente), i monaci abbiano cercato l’unione con Dio nella solitudine e come si siano ritirati dal mondo, raccogliendosi ognuno in Dio nella propria cella interiore e, nel coro, tutti insieme. Questa spiritualità, che ha portato migliaia di persone alla santità, ha arricchito la Chiesa di un poderoso patrimonio di esperienze mistiche. Seguendo questa via, prevalentemente incentrata sul primo comandamento dell’amore – «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza» (Mc 12, 30) –, tanti monaci hanno raggiunto “l’unione trasformante”. Cercando Dio e il suo volto, con totale dedizione ed estrema coerenza, sono stati piano piano da lui “assimilati” e in lui trasformati, diventando così luce per il mondo. Partiti dalla ricerca sincera di Dio solo, i fondatori degli ordini monastici si sono il più delle volte ritrovati attorniati da persone animate dal desiderio di seguirli e di vivere insieme a loro per Dio. Spesso, nelle loro regole, hanno allora raccomandato a questi loro discepoli la concordia e la carità reciproca: «Essi [...] si prevengano nello stimarsi a vicenda; [...] amino con cuore casto tutti i fratelli» (Regola di San Benedetto 72, 4 – 11); «Tra tutti deve esserci una gara nello stimarsi a vicenda»» (Regola di San Benedetto 63, 17). L’amore di Dio che muoveva i monaci li ha così condotti all’amore reciproco e i monasteri sono diventati luce, sale e lievito per il mondo. Infatti è attorno ad essi e per opera dei monaci che, nel periodo travagliato che ha seguito la fine dell’Impero romano, si è pian piano edificata la cristianità occidentale. La genialità di questa spiritualità ha plasmato la cultura europea ed è pure per questo motivo che san Benedetto è stato nominato patrono d’Europa. Focalizzata sul primo comandamento dell’amore, la spiritualità monastica conduce dunque i suoi seguaci a vivere tra loro l’amore scambievole e a riversare questo amore anche su tutti coloro che entrano in contatto con loro; e ciò è conforme alla logica evangelica perché ogni spiritualità, essendo Parola del Verbo, contiene tutto il Vangelo e partecipa quindi alla missione universale e salvifica di Gesù.

Trovare Dio per la via del fratello.
Nel secondo millennio, l’esperienza di contemplazione di Dio dentro il nostro cuore passa attraverso il fratello. Con san Francesco e san Domenico la spiritualità cristiana, che si era in qualche modo rifugiata nei deserti e nei chiostri, ritrova la via del mondo e si incrocia in modo nuovo con le vie dell’umanità. È l’epoca in cui, in Europa, nascono le città e quel “nuovo tipo di cristiano”, che sono “i frati”, le percorrono a due a due per annunciare ai loro contemporanei la buona novella del Regno. Il bacio di Francesco al lebbroso è sintomatico di una “svolta antropologica” che carat¬terizza tutta la storia della spiritualità cristiana nel secondo millennio. Dopo il Rinascimento e l’avvento dell’Umanesimo, questa svolta sarà irreversibile e segnerà persino la ricerca di Dio nella solitudine che contrassegna i monaci e i mistici.

Non a caso santa Teresa d’Avila, a differenza di altri mistici che l’avevano preceduta, insisterà continuamente sull’importanza della mediazione dell’umanità di Cristo per giungere all’unione con Dio.
(cf. A. Sicari, Contemplativi per la Chiesa. L’itinerario Carmelitano di S. Teresa di Gesù, Ediz. O.C.D., Roma 1983, pp. 79-108).

È attuando il secondo comandamento dell’amore – «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22, 39) –, e cioè riconoscendo e servendo direttamente Gesù nel prossimo, che molti santi come Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo De’ Paoli, don Bosco, il Cottolengo, Madre Teresa di Calcutta e tanti, tantissimi altri sono arrivati ai vertici dell’unione con Dio. In questo modo la persona umana è ridiventata “la via della Chiesa” ed è di nuovo apparso in modo lampante che «chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4, 20).

«Quest’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione»
(Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 14).

Pure questi fondatori raccomandano ai loro discepoli la carità e l’unità. Scrive san Vincenzo: «Siate uniti e Dio vi benedirà. Ma siatelo per mezzo della carità di Gesù Cristo [...]. Abbiate un medesimo sentimento e una medesima volontà [...]. Dio ci chiama a lavorare nella sua vigna. Andateci dunque, avendo in lui un medesimo cuore e una medesima intenzione, e con questo mezzo raccoglierete frutti» (I. Giordani, San Vincenzo de’ Paoli. Servo dei poveri, Vincenziane, Roma 1959, p. 133). Anch’essi sono dunque arrivati alla reciprocità della carità e per questo le loro comunità e le loro opere sono state spesso, così come i monasteri, autentiche “oasi di cielo” nel deserto del mondo, spazi di paradiso aperto, e lo sono ancora oggi.

Sentire Dio nel rapporto con gli altri.
Il terzo millennio è contrassegnato dalla scoperta di Dio tra noi se viviamo l’amore reciproco, secondo il comandamento nuovo di Gesù «amatevi gli uni gli altri come ho amato voi» (Gv 15,12). Se il primo millennio della storia della spiritualità cristiana è stato contrassegnato dalla spiritualità monastica e se il secondo ha visto l’emergere di tante spiritualità volte all’amore di Gesù nel prossimo, il terzo millennio si è aperto con l’invito di Giovanni Paolo II a promuovere ovunque nella Chiesa una spiritualità di comunione: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. […] Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia» (NMI, 43). La “mistica evangelica del noi” di cui parla papa Francesco si muove sull’onda di questa “spiritualità della comunione”.
Ma qual è la novità della mistica del noi rispetto alla mistiche precedenti, dove si contempla Dio nella propria interiorità o passando attraverso la mediazione del fratello e della sorella? Padre Jesús Castellano, ricercatore e cultore della storia della spiritualità cristiana, evidenzia che nella storia della spiritualità cristiana prima si afferma: “Cristo è in me, vive in me”, ed è la prospettiva della spiritualità individuale, della vita in Cristo; poi si afferma: “Cristo è presente nei fratelli” e si sviluppa la prospettiva della carità, delle opere di carità, ma manca in genere il passo decisivo: scoprire che se Cristo è in me e nell’altro, allora Cristo in me ama Cristo che è in te e viceversa e vi è il donare e il ricevere. In questa via della comunione si cammina insieme e si raggiungono le vette dell’unione con Dio “in cordata”, uniti gli uni agli altri come i membri di un medesimo corpo. Per cui si sta innanzitutto attenti a stabilire con i fratelli e le sorelle dei rapporti improntati alla mutua e continua carità. Si è chiamati a dare il più possibile la priorità a questo amore reciproco, secondo il monito di san Pietro: «Soprattutto conservate tra voi una carità fervente» (1 Pt 4, 8). Di conseguenza come si ama Dio in sé, raccogliendosi in lui, nel profondo del proprio “castello interiore” – come lo chiama santa Teresa d’Avila –, così si ama Dio nei fratelli e nelle sorelle quando si è presso di loro e si edifica in questo modo, per la bellezza dei rapporti fra tutti, un “castello esteriore” nel quale Dio possa regnare. È questa l’esperienza meravigliosa e sconvolgente che oggi la Chiesa va sempre più riscoprendo: la presenza particolare di Dio lì dove è vissuta la reciprocità, il comandamento nuovo di Gesù, un modo di relazionarci che affonda le radici nella vita trinitaria; la presenza tangibile di Dio nei rapporti interpersonali; Dio in mezzo a quanti sono uniti dall’Amore e nell’Amore (cf. Mt 18, 20).
In questa luce si può comprendere la portata dell’invito di papa Francesco a percorrere le vie di una “mistica evangelica del noi”. È l’amore infatti che dà valore a tutto ed esso ci stanzia in Dio: «Se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1 Gv 4, 12). Avviene allora che basta incontrare un’altra persona, con la quale ci si è accordati per vivere sul serio l’amore scambievole per amore di Dio, per sentire aleggiare lo Spirito di Gesù. Ritrovarsi con altri che vivono in questo modo l’unità è ritrovarsi con Gesù, anche in casa, al lavoro, allo stadio, sulla strada, ovun¬que. L’incontro con gli altri diventa così un momento di raccoglimento in Dio e il rapporto con loro una fonte di grazia e di unione con Dio. Le persone unite in que¬sto modo in Gesù realizzano la vocazione della Chiesa ad essere «in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG, 1; cf. anche NMI, 42).