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Scuola, serve un piano per spendere bene i miliardi che arriveranno dall'Europa

Il timore è che si vada incontro all'ennesima delusione. Intanto, il 7 gennaio si avvicina: come ci si sta preparando alla ripresa?

Nel luglio di quest’anno i Paesi europei hanno approvato il Recovery Fund (Fondo per la ripresa) finanziato con titoli di stato europei che serviranno per sovvenzionare i progetti di riforma strutturale di ogni paese (Recovery Plan). Il governo, infatti, sta discutendo la bozza di Recovery Plan preparata per ottenere dall’Europa 196 miliardi di euro nei prossimi sei anni per sostenere la ripartenza del Paese dopo la crisi determinata dalla pandemia. Un mese fa su queste colonne avevamo parlato del Recovery Fund come un’occasione per ripensare la scuola; oggi possiamo parlare, di fronte a quanto proposto nella bozza governativa, di un’occasione persa. Il governo sta litigando al proprio interno sulla “cabina di regia” di questo multimiliardario piano di investimenti, mentre dovrebbe preoccuparsi dei contenuti del piano e discutere della loro validità. I 10,1 miliardi di euro destinati alla scuola - 1,7 miliardi all’anno per un settore che costa allo Stato 60 miliardi annui - corrispondono a poco più del 5% di tutte le risorse del Recovery Fund: non è molto per un settore basilare come la scuola e, soprattutto per come sono indirizzati nel piano governativo, non cambieranno «la qualità e l’efficacia del servizio scolastico, un’esigenza ormai improcrastinabile per il Paese», come scrive Tuttoscuola. Vediamo nel dettaglio i contenuti del Recovery Plan. Riguardo all'istruzione, la “missione” che si dà il piano è quella di «migliorare il percorso scolastico degli studenti»; questa missione ruota attorno all’«ampliamento delle competenze nelle scuole», per ottenere il quale è fondamentale «un’attenzione alle disparità regionali», e si concretizza con un’azione tesa al «potenziamento della didattica e diritto allo studio». Si tratta di attuare la riforma del sistema di selezione del personale scolastico con periodi di prova (un sistema che era già stato introdotto negli anni passati e poi cancellato), la formazione continua di dirigenti e docenti (che in gran parte la svolgono già per conto proprio) e il potenziamento dell’offerta formativa legata alla vocazione produttiva del territorio con rilancio degli istituti tecnici superiori. Quest’ultimo punto è certamente interessante, indica in modo chiaro a chi si riferisce, ma rimane indefinito riguardo a fondi e strategie.
Ci sono poi le tre linee di azione che dovrebbero essere realizzate grazie ai fondi destinati: accesso all'istruzione e contrasto ai divari territoriali grazie al «potenziamento delle competenze di base e contrasto alla dispersione scolastica»; potenziamento della didattica e Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematycs) grazie al «rafforzamento dell’apprendimento nelle discipline linguistiche, Stem e competenze digitali »; ricerca e istruzione professionalizzante, Its grazie al potenziamento degli «investimenti pubblici» in questo settore. Leggendo la bozza del piano governativo la domanda su come verranno spesi questi fondi resta senza risposta, i punti che abbiamo sintetizzato rischiano di far convergere queste risorse nei soliti canali e nelle solite prassi che in tanti anni non hanno migliorato in nulla la scuola italiana, anzi l’hanno confermata nelle sue debolezze e inefficienze. In tutto il piano non si parla mai di autonomia e di parità delle scuole, che sono invece le condizioni imprescindibili per mettere in moto un processo di vero cambiamento che non può che nascere dall'azione delle scuole stesse, libere di compiere le scelte necessarie per rispondere alle mutate esigenze e richieste degli studenti, delle famiglie e del territorio. Senza questa libertà, il raggiungimento degli obiettivi richiesti dalla situazione e richiamati nel documento governativo resteranno sempre una chimera. Purtroppo il timore che anche il piccolo obiettivo di veder riaprire le scuole italiane almeno dal 7 gennaio si trasformi in una nuova delusione, in una ulteriore mancata promessa è sempre più forte perché non si vedono azioni e proposte per cambiare in meglio le condizioni in cui svolgere il servizio scolastico: sia quelle interne ma soprattutto quelle relative ai trasporti e ai possibili assembramenti davanti agli istituti. Governo e Regioni stanno facendo qualcosa in proposito? O si attende solo di comunicare la prossima data di chiusura delle scuole?
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Fonte:Avvenire