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Con la legge Zan l’identità di genere può diventare un dogma. Anche per le scuole

La campagna mediatica in corso evoca l’immagine di un’Italia intollerante che necessita di una «Giornata» contro l’omofobia in tutti gli istituti educativi

Nel pieno di una pandemia ancora in corso, con centinaia di morti al giorno e un vero disastro economico, non sembra certo urgente impegnare il Senato nella «legge Zan», dal nome del deputato pd relatore alla Camera, che l’ha approvata il 4 novembre 2020. C’è invece una vasta pressione sull'opinione pubblica per approvare in fretta e senza modifiche il testo così come è stato licenziato da Montecitorio, anche se le perplessità aumentano. Che non vi sia necessità di nuove disposizioni perché il quadro normativo vigente è già in grado di sanzionare chiunque offenda o leda in qualsiasi modo qualunque cittadino – persone omosessuali incluse, naturalmente – è confermato dal fatto che ogni volta che la cronaca informa di un atto probabilmente discriminatorio la reazione è immediata, e il responsabile viene perseguito e sanzionato dalle autorità. Purtroppo però sta passando l’idea che la legge Zan colmi un vuoto giuridico e sia per ciò stesso indispensabile, trasformandola così nella nuova icona dei diritti civili. Non c’è alcun dubbio ovviamente sul «no» forte e chiaro alla violenza contro chiunque, ma la legge Zan si spinge oltre: sembra essersi formata una bolla mediatica dentro la quale essa è diventata la sola difesa possibile per una libertà di scelta del tutto insindacabile, sottratta a qualunque confronto con altre opinioni soggette alla minaccia di essere considerate istigatrici di odio e violenza in forza di una norma che prevede sanzioni anche pesanti (il ddl Zan interviene sul Codice penale). La legge – è la critica di molti, anche del campo progressista – è scritta male, in modo pasticciato, ideologico, confuso, e rischia di creare più problemi di quanti ne possa risolvere. Che la sua applicazione non finisca per comprimere la libertà di opinione e di educazione dipende infatti dall'arbitrio di ciascun giudice essendo il testo costruito su espressioni vaghe come «identità di genere», un concetto fondato sull'autopercezione soggettiva. Si vuole invece far derivare da questa base così incerta l’irrogazione di condanne penali, conseguenza di indagini che non possono escludere intercettazioni e provvedimenti restrittivi della libertà. Oggetto di questa discriminazione al contrario sarebbe chi sostiene, per esempio, che la famiglia è tale solo se fondata su una coppia formata da una donna e un uomo, e che il sesso non dipende da un'autodichiarazione ma da un dato biologico. Si manifesta qui il dogma del «gender» che sarebbe così imposto nell'ordinamento giuridico, facendone un riferimento indiscutibile che non ammette obiezione.

A confermare i numerosi interrogativi attorno alla bozza di legge c’è il recente episodio che ha coinvolto Malika Chalhy, la 22enne di Castelfiorentino cacciata di casa dopo aver rivelato in famiglia una relazione omosessuale. Un caso drammatico, certo, ma perfetto per corroborare il teorema della legge «urgente»: una giovane discriminata e persino ripudiata dalla propria famiglia, minacciata di violenza, cacciata in strada per la sua scelta affettiva. Ma dopo giorni di battage mediatico, ecco affiorare alcuni dettagli dapprima silenziati e tutt'altro che marginali: come il fatto che la famiglia di Malika sia di religione islamica – papà di origine marocchina e mamma italiana convertita –, un particolare che cambia i connotati per comprendere la vicenda alla luce della considerazione che la cultura musulmana riserva all'omosessualità. E se in Marocco la rivelazione della sua scelta avrebbe fatto rischiare a Malika fino a tre anni di carcere, nell'Italia dipinta come omofoba – a tal punto da esigere al più presto una legge – è invece scattata la solidarietà di tanti, con una colletta che in pochi giorni avrebbe superato i 100mila euro. Un’osservazione non faziosa del Paese mostra una diffusa salvaguardia della libertà affettiva e rari episodi di intolleranza, sempre perseguiti e puniti. Davvero c’è bisogno di una legge che, nella «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia» (articolo 7 del ddl), introdurrebbe in tutte le scuole lezioni di pensiero gender senza contraddittorio (considerato a rischio intolleranza, e dunque escluso per legge)? E il Parlamento è sicuro di volersi prendere la responsabilità di sostituire il sesso con l’identità di genere?
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Fonte:Avvenire