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Camminare nei luoghi della guerra per educare alla cultura della pace

Docenti e studenti in visita a Rovereto, dove è conservata la memoria della «inutile strage» che fu il primo conflitto mondiale

Oggi, dopo lunga analisi, ho accettato di diramare alle mie classi quinte una circolare con la proposta di una visita guidata. Da due anni, pandemia imperante, i ragazzi sono fermi. A tratti lontani da scuola, reclusi nelle loro camere e collegati ai loro compagni e ai docenti in Dad. Ora stanno per allentarsi i freni e il desiderio di uscire, di riprendere il cammino, anche in senso fisico, è fortissimo. Il Dipartimento di storia e filosofia della mia scuola propone una visita al Museo della Guerra di Rovereto, là dove ogni sera scandisce le sue note Maria Dolens, la campana più grande del mondo, nata dalla fusione dei cannoni della Prima Guerra Mondiale. I boati dei cannoni sono diventati echi serali di memore pianto. Maria Dolens li diffonde, a monito perpetuo del dolore e della morte che quel bronzo ha generato nei cuori di madri, padri, mogli, figli all’inizio del secolo scorso. Il viaggio a Rovereto si completerà poi in Val di Gresta con la visita alle trincee. A distanza di un secolo i nostri ragazzi andranno sulle tracce della guerra che ha chiuso l’Ottocento e aperto la sequenza di eventi che ha portato alla seconda follia mondiale, alla bomba atomica, alla Guerra Fredda, al muro di Berlino, al permanente conflitto in Medio Oriente. Vedranno con i loro occhi, sentiranno con i loro orecchi il racconto dei loro docenti e delle guide. Parleranno del dolore e della morte dei loro nonni e bisnonni. Ma nel loro cuore si presenteranno le immagini dei carri armati e dei droni in Ucraina che la follia umana ancora ha deciso di chiamare in causa per regolare i rapporti fra nazioni e uomini. Ed è quindi istintivo il fatto che il preside di una scuola che fonda la propria identità sui valori cristiani senta urgente e ineludibile la necessità di ricordare ai propri allievi quanto sia importante crescere interiormente con la consapevolezza che la pace si costruisce ogni giorno. Per questo ho sostenuto e incoraggiato il progetto di una visita a quei luoghi che conservano la memoria di quella che Benedetto XV definì «un’inutile strage », anche con l’intento di riprendere l’analisi delle diverse posizioni che si definirono all’inizio del primo conflitto mondiale nella opposizione fra “interventisti” e “non interventisti”. Non certo per mettere in luce positiva e far proprie le posizioni di questa o quella parte, ma per favorire il confronto con il dibattito odierno intorno alla lettura di tutta la vicenda del conflitto Russo-Ucraino. È fin troppo evidente come la guerra costringa ad assumere posizioni palesemente contrarie alla «costruzione della pace» anche da parte di coloro che nella pace credono fermamente, inducendo a pensare di armarsi per difendersi, dirottando così energie mentali, economiche culturali e umane verso la distruzione, più che verso la positiva costruzione di relazioni serene, rispettose e per ciò stesso pacifiche. E quindi ritornare alla Parola per ridare valore alle parole come strumento di confronto è scelta ineludibile per gli educatori: le parole come «terra dell’uomo», spazio di dialogo che faccia tacere il rombo di cannoni e ripristini il suono dei «pensieri di pace» e delle idee costruttive. La scuola non può essere che spazio nel quale l’umano manifesta la sua forza, non con gli strumenti di offesa e di morte, ma con parole di dialogo, di reciproca intesa. Una visita guidata sui luoghi della memoria acquista oggi anche il valore intenso e pregnante di un’esperienza di educazione civica come urgente e imprescindibile «educazione alla pace».

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Fonte:Avvenire