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Orientamento e insegnanti: una questione che riguarda molto i genitori

Si avvicina la scelta della scuola superiore e in tante famiglie cresce l’“ansia”. Il valore dell’alleanza educativa

Non è ancora tempo di scelte ma le recenti affermazioni del ministro Valditara in materia di orientamento, ci portano a riflettere, da genitori, che spesso vivono questo passaggio, diciamocelo, con un po’ di “ansia”. Chi al momento di accompagnare e condividere la scelta della scuola per il proprio figlio non ha cercato in tutti i modi aiuto dentro e fuori la scuola, perché è proprio in quel passaggio che si giocano poi tante frustrazioni ed anche abbandoni o cambi di rotta?

Le recenti indagini dicono di come 1 ragazzo su 5 dichiara, alla fine del ciclo scolastico, di avere sbagliato indirizzo; un numero rilevantissimo che induce necessarie considerazioni anche sull’organizzazione dei cicli scolastici oltre che sulla formazione degli insegnanti Da genitori abbiamo imparato, anche con qualche errore naturalmente, che l’alleanza educativa è fondamentale, e dentro a questa alleanza i docenti sono un tassello importantissimo, un valore fondamentale. Un docente che per mille motivi fatica a guardare, capire, osservare nelle sue ore in classe i suoi ragazzi cogliendone le risorse e le fragilità, difficilmente potrà farlo nell’ora, o nelle ore di orientamento, riuscendo lavorare sulle capacità e potenzialità dei ragazzi che sono il motore poi delle loro scelte future. È dunque agli insegnanti che noi tutti dobbiamo ridare non solo tempo e risorse per la formazione ma riconoscere anche quella autorevolezza che è andata diminuendo anche a causa nostra, ed è una questione che investe tutto il sistema dell’istruzione pubblica sia essa statale o pubblica paritaria; perché in un sistema pubblico non si possono continuare a fare differenze tra pubblico statale e pubblico paritario soprattutto quando parliamo di insegnanti.

È anche vero che negli anni tutto quello che si è abbattuto sul sistema scuola (vogliamo ricordare solo il “buco” del lockdown ad esempio?) ha reso i nostri ragazzi mediamente più fragili e soli contribuendo a rendere ancora più complesso per loro capire quale possa essere il giusto percorso per realizzare le loro aspirazioni valorizzando le proprie attitudini e capacità.

Proprio dalle colonne di questo giornale, in un articolo di qualche settimana fa, parlavamo della scuola del merito come della necessità di una scuola inclusiva, che mettendo la persona al centro lavori per la valorizzazione dei talenti individuali riconoscendo il merito come valorizzazione dei talenti di ciascuno, affinché tutti possano raggiungere la propria eccellenza, capace di funzionare da ascensore sociale.

Per fare questo ci vuole indubbiamente una visione che fin qui probabilmente è stata carente ed anche una “offerta formativa” più adeguata ai tempi e meno dispersiva sul piano delle competenze. Basta pensare che sono 5.432 i percorsi di studio che compongono l’offerta di istruzione universitaria in generale. In dieci anni sono aumentati di 534 nuovi corsi di laurea. Sono dati dell’ultimo rapporto Censis che fotografano bene la situazione.

«Quando mia figlia mi ha detto il corso di laurea a cui si era iscritta- mi diceva un amico – ho fatto fatica a capire cosa studiava e quali competenze avrebbe acquisito». Non è un caso isolato o raro; capita spesso.

Ben venga dunque un richiamo così autorevole come quello del ministro, e una volontà, di puntare sull’orientamento come strumento privilegiato per valorizzare tutti e ciascun studente. L’importante è che questa volontà sia condivisa con chi in aula siede tutti i giorni, sia inclusiva nei confronti dei genitori (che dovrebbero recuperare il coraggio di educare per dare un’identità forte ai figli che serva loro come base per poi fare delle scelte) tenga come bene primario la valorizzazione dei talenti individuali e sia così capace di «sanare le diseguaglianze relative alle condizioni di partenza di ciascuno». Questo non ci toglierà, da genitori, l’ansia della scelta, condivisa, della scuola dei nostri figli ma indubbiamente porterà a ridurre l’alta percentuale di giovani 18-24enni che anche l’anno scorso hanno abbandonato precocemente gli studi.

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Fonte:Avvenire