Educare alla cittadinanza: un compito da assegnare per il 2 giugno
Alla vigilia della Festa della Repubblica, è urgente riflettere sul senso di appartenenza alla comunità nazionale. Anche attraverso il voto
Il 2 giugno 1946, quasi 28 milioni di italiane e italiani andarono alle urne. Votarono per decidere la forma dello Stato: Monarchia o Repubblica. Per la prima volta, al voto parteciparono anche le donne: più di 12 milioni. Una svolta epocale. La scelta portò alle urne l’89% degli aventi diritto, donne e uomini che, dopo un ventennio di dittatura e in un paese in macerie, votando fecero una promessa collettiva: parteciperemo e decideremo insieme. Oggi i dati dimostrano che quella promessa si è affievolita e che più passa il tempo, più sbiadisce. Il punto non è, però, solo il calo dei votanti e di quelli che si mettono in gioco in prima persona candidandosi e dando agli altri la possibilità di “scegliere”. Il punto è “l’aria che si respira”.
“Politica”, etimologicamente, è l’arte o la scienza che riguarda la vita della comunità, della “cosa pubblica” (in latino res publica). Il problema, quindi, non è tanto non votare (l’astensione fa parte delle opzioni democratiche), quanto piuttosto pensare che il bene comune sia “affare di altri”. Guardare alle istituzioni come a comitati di potere, distanti autoreferenziali.
Per fortuna i segnali che ci raccontano un’altra faccia della medaglia ci sono, come è successo un anno fa nell’ultima Settimana Sociale dei cattolici a Trieste. In quell’occasione, giovani da tutta Italia hanno partecipato e animato con passione e concretezza incontri, dibattiti e laboratori. Ma allora la domanda che dobbiamo porci è: come facciamo a far attecchire questo entusiasmo nella vita di tutti i giorni a casa come nelle nostre comunità territoriali? C’è una responsabilità che ci riguarda da vicino. Come adulti, come genitori, come educatori. Siamo noi a dover trasmettere l’idea che la partecipazione non è opzionale, ma necessaria. Non per dovere astratto, ma perché dalla nostra assenza nasce il deserto. E nel deserto della cittadinanza muore la democrazia e prosperano gli autoritarismi, scemano i diritti e si affermano le soverchierie.
Non si tratta di fare prediche moraliste, quanto di creare e offrire esperienze. Non basta preparare i giovani al futuro, è essenziale lasciarli fare nel presente. Dar loro modo di esprimere la loro voce, dimostrare che non solo li ascoltiamo, ma che diamo un peso alle loro idee e proposte. Un consiglio comunale dei ragazzi, un’associazione dove possano decidere davvero, una consulta giovanile che non sia una vetrina, bensì un laboratorio, da cui sorgano proposte da attuare, potrebbero essere esperienze che “allenano alla vita” di cittadino della res publica.
Non possiamo limitarci a creare dei “buoni cittadini” in astratto, bisogna coltivare il senso di appartenenza, di responsabilità e di fiducia. Se oggi ci sono elezioni con un solo candidato (o, peggio, senza nessun candidato), vuol dire che si è rotto qualcosa nel patto democratico ottenuto con fatica e sofferenza nel 1946. Ripararlo non spetta ai soli politici, spetta a ognuno di noi. Basta lanciare uno sguardo fuori dai nostri confini, per vedere quanto la democrazia sia fragile e al contempo desiderata: non possiamo permetterci di darla per scontata.
Il diritto al voto è anche il dovere di esserci e se non vogliamo che da qui a qualche anno ci sia un’impennata di elezioni senza candidati, dobbiamo partire dai giovani, dalle nostre famiglie, dai nostri quartieri e dalle nostre domande.
La Repubblica è nata con un voto. Morirà, se i voti finiranno.
Elsa Ganassini
Segretario nazionale
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Fonte: Avvenire