«Se le madri devono scegliere tra famiglia e lavoro, l’Italia perde»
Domenica si celebra la Festa della mamma, ma per tante la maternità è ancora un ostacolo. Servono servizi alla genitorialità
Questa domenica sarà la Festa della mamma, una ricorrenza civile che si celebra in molti Paesi del mondo per onorare la figura materna, la maternità e il ruolo delle madri nella società. Ci sembra, quindi, l’occasione giusta per tornare su un tema a noi di Agesc molto caro.
In Italia, nel 2024, sono nati 370mila bambini (circa 10mila in meno rispetto all’anno precedente). Mai così pochi da quando esistiamo come nazione. Ogni culla vuota racconta una storia: non solo di desideri sospesi, ma di scelte forzate, di ostacoli non rimossi, di madri che hanno dovuto rinunciare. Alla maternità, al lavoro, o a entrambe le cose.
Dietro la crisi demografica ci sono domande che non possiamo più ignorare. Perché, ancora oggi, diventare madre significa spesso scegliere tra crescere un figlio e costruirsi una carriera? Perché il lavoro, che dovrebbe essere strumento di dignità e libertà, diventa per tante donne una trappola senza uscite praticabili? Secondo l’Istat, il divario salariale diretto tra uomini e donne è ancora del 5,6%, ma sale al 16,6% tra i laureati, al 30,8% nei ruoli dirigenziali. Non sono solo numeri: sono promozioni mancate, sono talenti spenti, sono stipendi più bassi che rendono una maternità una rinuncia troppo pesante. Per molte, il primo figlio è ancora oggi il bivio. In un’Italia dove trovare un asilo nido costa quanto un affitto e dove il lavoro flessibile è una concessione - non un diritto! - la maternità diventa un lusso che non tutti possono permettersi. Ogni anno, migliaia di donne abbandonano il lavoro dopo la nascita di un figlio. Non per scelta, ma per necessità.
Questa emergenza personale diventa presto emergenza collettiva. Con un saldo naturale negativo di oltre 280mila unità nel 2024, il nostro sistema pensionistico - e con esso l’equilibrio sociale - si trova su un terreno sempre più fragile. Meno giovani significa meno lavoratori, meno crescita, più tasse. Più incertezza per tutti. Ma il futuro non è scritto. Altri Paesi ci mostrano che cambiare è possibile. La Francia ha saputo aumentare il tasso di natalità investendo nei servizi per l’infanzia, abbattendo i costi per le famiglie. In Germania, il “part-time di qualità” permette ai genitori di lavorare meno senza essere esclusi dalla carriera. Nei Paesi nordici, congedi parentali condivisi tra madre e padre hanno dato dignità a ogni scelta di genitorialità.
Anche in Italia qualche passo si è mosso: un mese di congedo retribuito al 60% per entrambi i genitori è un segnale, ma non basta. Serve una rivoluzione culturale, oltre che economica: dobbiamo smettere di considerare il lavoro femminile - e la maternità - come questioni private. Sono, invece, temi di sopravvivenza nazionale. Abbiamo bisogno di politiche coraggiose: più asili nido accessibili, incentivi concreti alla natalità, vera flessibilità lavorativa per uomini e donne. Ma abbiamo soprattutto bisogno di uno sguardo nuovo: vedere nella maternità non un problema da gestire, ma una risorsa da coltivare. Perché ogni bambino che nasce è una promessa di futuro per tutti.
Questa domenica, celebriamo le nostre Mamme ricordando che il lavoro delle madri non è un privilegio, né un sacrificio da pagare. È un diritto, ed è un dono: non solo per le madri che generano la vita, ma anche per la società, per l’economia, per il domani. Non essere obbligate a scegliere tra maternità e lavoro: questa deve diventare la libertà più normale. E questa è una priorità delle politiche sociali e del lavoro da porre in agenda il prima possibile.
Perché l’Italia, se vuole crescere, deve ripartire da qui, dalla generatività che crea il futuro.
Elsa Ganassini
Segretario nazionale
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Fonte: Avvenire