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La pace si costruisce in classe

In queste settimane siamo stati tutti scossi da quanto è avvenuto a Parigi: i concomitanti attentati terroristici che hanno mietuto tante vittime. E se quanto accaduto nella capitale francese ha avuto una vasta eco mediatica, non possiamo dimenticare che in Africa e nelMedio Oriente quella terza guerramondiale combattuta a pezzi, come ha detto papa Francesco, è uno stillicidio quotidiano. Siamo rimasti colpiti dal fatto che giovani immigrati di seconda o terza generazione, con uno stile di vita apparentemente simile a quello dei loro coetanei, abbiano abbracciato una cultura della morte così devastante. Abbiamo vissuto anche noi lo sgomento che tutti hanno provato nel vedere la propria vita davvero appesa ad un filo, potendo essere colpiti dal terrorismo in qualunque posto ci troviamo.
Come genitori cattolici questi fatti non ci lasciano indifferenti e ci spingono a una reazione che non sia dettata dalla paura, dall’emotività o, peggio ancora, dall’odio e dal risentimento. Noi – ci tengo a gridarlo chiaro e forte – non ci sentiamo in guerra con nessuno. Noi vogliamo vincere la paura e lo facciamo, in alternativa alla cultura del nulla, riaffermando che la vita ha un significato positivo e che va spesa per costruire qualcosa di buono per sé e per gli altri. Crediamo fermamente che in questo contesto storico vi sia un potente antidoto per fermare la cultura del nulla e della morte, in qualunque modo essa si esprima. Questo antidoto è l’educazione.Educare,ha ricordatoil Santo Padre ricevendo i delegati del congresso mondiale dell’educazione cattolica, significa introdurre le giovani generazioni alla realtà totale, comprensiva di tutte le dimensioni dell’esistenza, compresa quella della trascendenza. Educare significa condurre a una umanità più piena, a una apertura senza confini nei confronti di tutta la realtà, porre le basi, come ha sottolineato Francesco, per rapporti umani nel segno della fratellanza e della pace. Il Papa ha parlato di un’educazione di emergenza, della necessità urgente di ristabilire un patto educativo fra tutti i soggetti interessati al destino umano dei giovani e al futuro della nostra società. Penso che ricostruire un patto educativo voglia dire anche difendere fino all’ultimo quei luoghi, quelle comunità, quelle istituzioni scolastiche, dove ci si prende davvero cura dell’educazione dei giovani. Negli ultimi due anni, nell’indifferenza generale e nel silenzio delle istituzioni, sono state chiuse 349 scuole cattoliche. E ciò accade nonostante ci sia una legge che sancisce la parità; però non offre alle famiglie gli strumenti economici per esercitare realmente il diritto alla libera scelta educativa. La chiusuradiuna scuola è un impoverimento culturale e sociale per la comunità civile. Di fronte alla necessità di una "educazionedi emergenza" la rispostanon può essere quella di lasciare che le scuole chiudano i battenti senza che nessuno si muova. La nostra identità di genitori, la fede cristiana che cerchiamo di vivere nell’appartenenza ecclesiale, ci spinge a seguire Francesco che durante la sua visita a Torino ha detto: «Come vivere una vita che non delude? Andare avanti con progetti di costruzione. E per questo non si può andare in pensione ma fare, fare controcorrente ». Questo fare controcorrente è l’antidoto contro la cultura dominante che ci rinchiude nell’individualismo e nell’indifferenza e vuole convincerci dell’impossibilità e inutilità di educare. Ed è il compito che ci deriva dalla nostra responsabilità di educatori: costruire sulla roccia del Vangelo un nuovo umanesimo per il bene comune e per i nostri figli.