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«Pensieri di vita in un contesto di fragilità estrema»

Il Papa in più occasioni ci ha ricordato la necessità di non lasciarci travolgere da ansia e paura, di reagire soccorrendo i più deboli, i più fragili

Il cielo si fece buio e Gesù in croce emise l’ultimo respiro. Prima dimenticata, ora la morte ci è diventata familiare. Spesso accompagnata dalla solitudine, dall’impossibilità di avere accanto a sé i propri cari, il conforto di una voce amica, ricevere i sacramenti, confessarsi. Oggi siamo tutti messi alla prova, perché quello che prima davamo per scontato - il modo di stare con i nostri cari, esprimere i nostri affetti in famiglia, con gli altri, al lavoro, lo studio, la preghiera e la possibilità di partecipare alla Messa - ora non c’è più. Questa epidemia è causa di tanta morte, di tanto dolore, di tanta sofferenza. Migliaia di persone sono gravemente ammalate, altre sono morte. Tante famiglie Agesc piangono i propri cari, ai quali non hanno potuto neppure stare vicino, ai quali non hanno potuto dire addio e sono stati cremati senza la benedizione di un funerale. Ma noi crediamo - come sottolinea don Renato Mion, assistente spirituale - nella vita anche dopo la morte.

C’è una frase che un genitore Agesc che fa l’operatore sanitario riporta: «Si può anche morire, ma non così!». Vittime di questo tremendo virus che ti toglie la vita perché ti spegne il respiro.

Si riferisce ad una situazione tragica che riguarda i malati più gravi che vedono la vita e le forze andarsene, nonostante la buona volontà e tutti i mezzi impiegati dai medici, e si trovano soli ad affrontare la morte. Il contagio non risparmia nessuno e l’isolamento che accompagna il decorso infausto della malattia impedisce la vicinanza dei parenti, dove ci sono, e spesso, data la situazione di emergenza, anche degli stessi operatori sanitari impegnati su più fronti con spazi e tempi ristretti e tante persone da curare. Tante le bare che rimangono

in attesa di cremazione o sepoltura e ai parenti non rimane che la possibilità di un fugace saluto e la preghiera, mentre per i defunti nel limite delle circostanze, c’è solo la benedizione di un sacerdote.

È grave la situazione anche e soprattutto per i tanti ospiti delle Case di riposo, luoghi nei quali i nostri anziani ricevono solitamente la visita dei parenti ma che in conseguenza dell’arrivo del virus vedono annullata questa possibilità. Già esperti di solitudine si vedono tagliare l’unico legame che li fa sentire ancora parte di una famiglia. Molte strutture ed anche qualche ospedale, stanno ricorrendo agli strumenti elettronici (tablet o telefonini), per gettare un ponte virtuale tra gli ospiti/ammalati e i loro parenti in modo che si possa mantenere un contatto vocale o anche video con i volti conosciuti e amati. Questo naturalmente non conforta chi la famiglia non ce l’ha. Questo aspetto dell’emergenza non interessa solo gli anziani ma anche i senza tetto, le persone disagiate e tutti coloro che sono ai margini della nostra società. Grazie al volontariato di tante persone coraggiose e di buona volontà molte di queste situazioni vengono sanate in parte e a volte totalmente. Anche il Papa in più occasioni ci ha ricordato la necessità di non lasciarci travolgere da ansia e paura, di reagire soccorrendo i più deboli, i più fragili, che non hanno di che difendersi di fronte al virus una volta che questo entra nel loro perimetro vitale.