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Tra i banchi si rientra a settembre. «Ma per ripartire serve una nuova visione»

Dopo la fase dell’emergenza, ora tocca ripensare a un rapporto in presenza. Ma la bozza delle Linee guida non soddisfa

Ormai la scuola guarda alla ripresa di settembre. Ieri ha cominciato a circolare una bozza delle Linee guida del Ministero. Come Agesc pensiamo sia scorretta questa uscita anticipata perché denota un Ministero in difficoltà: solo se il virus a settembre non ci sarà più, questo elenco di indicazioni, anche interessanti, per la ripartenza sarà concretamente attuabile.

Questa per la scuola italiana è comunque un’occasione unica per scrollarsi finalmente di dosso statalismo burocratico e centralismo imponente. Ciò sarà possibile solo se docenti e dirigenti oseranno pensare una scuola diversa accanto ad un patto di comunità che potenzi quello di corresponsabilità educativa. Guardiamo alla vicina Francia che, dopo aver aperto le scuole il 4 maggio a chi voleva frequentarle, ora le rende obbligatorie per tutti prolungando le lezioni per tutto il mese di giugno, per poter recuperare una parte degli apprendimenti persi. Là addirittura la scuola è stato il primo settore a riaprire.

La buona volontà di tantissimi docenti e presidi nel seguire a distanza gli alunni non è stata completata né rafforzata dall’unica modalità possibile: tornare a scuola in presenza. Così come si sono persi tre mesi, che potevano utilmente essere impiegati per fare lavori di pulizia e piccola manutenzione.

Siamo quindi di fronte a una sfida culturale: l’Italia deve ritrovare, nella scala delle proprie priorità, il primato dell’istruzione e dell’educazione, in una parola “della cultura”, oggi ben sotto, nella coscienza comune, a ben altre priorità familiari, sociali ed economiche. Parlando di economia, 29 milioni di risorse europee per le smart class alle superiori saranno solo per le statali. Ma a decidere la destinazione delle risorse non è l’Ue, bensì i singoli governi nazionali. «Sarebbe davvero paradossale che dopo anni di lavoro per permettere alle scuole paritarie di accedere ai fondi Fesr e Fse, ora si blocchi tutto. I fondi europei, lo si dice chiaramente anche nell’ultimo accordo tra Commissione europea e Italia, sono destinati a tutto il sistema pubblico d’istruzione. Dispiace che ancora una volta alcuni componenti del Governo e alcuni parlamentari

di maggioranza non conoscano o facciano finta di non conoscere la legge italiana», commenta Agesc. Semplificazione, occorre semplificare avere cioè norme chiare per applicare le regole nazionali in rapporto stretto con i territori, adattate per essere rispettate.

Autonomia: ogni scuola deve verificare la propria situazione e capacità da un punto di vista strutturale ma non solo. Non può esserci una regola unica “da Roma “ che valga su tutto il territorio. Quindi finalmente l’autonomia scolastica si impone, diventa realtà, una autonomia responsabile quale occasione intelligente e creativa per ripensare un patto educativo di comunità che veda protagonisti famiglie, scuola e territorio.

Il Covid ha fatto riscoprire ai genitori una scuola fatta più di relazioni che Dad, ha rimesso in moto una preoccupazione educativa da parte di tanti docenti che attraverso la didattica hanno re–incontrato i loro alunni. Una scuola che improvvisamente è diventata preziosa e attraente anche per quei ragazzi più difficili, una scuola accogliente importante non tanto e non solo per “gli spazi” ma quale luogo di presenza educativa e didattica continua. Una scuola che non lasci a casa nessuno. L’Agesc chiede con forza che siano garantiti tre diritti fondamentali: agli studenti quello di apprendere; alle famiglie quello di esercitare la propria responsabilità educativa; ai docenti quello di insegnare senza subire discriminazioni economiche. Purtroppo il Movimento Cinque Stelle è contrario all’esistenza stessa delle scuole paritarie non comprendendo l’importanza delle scuole non statali per l’intero comparto della scuola pubblica italiana. Aiutarle a rimanere vive eviterà il collasso del sistema nazionale d’istruzione.