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La “pornografia” delle immagini d’odio che corrompe i nostri ragazzi

Ci dobbiamo credere e lavorare insieme perché la “pornografia” delle immagini e dei gesti di odio non prevalga.

Nei giorni scorsi il Copercom, il Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione di cui Agesc fa parte, ha progettato un’iniziativa particolarmente interessante che riguarda i nostri ragazzi. Si tratta di un tavolo di co-progettazione appunto relativo all’emergenza dell’accesso dei minori alla pornografia online. Un fenomeno dilagante con risvolti ed impatti devastanti da tutti i punti di vista. La cosa ci coinvolge, naturalmente come genitori siamo molto interessati, e nello stesso tempo ci induce a riflettere perché parliamo di immagini e mai come oggi le immagini (tv, social…) hanno invaso, trasformato, complicato la nostra vita; immagini che ci arrivano da fonti e soggetti diversissimi e talvolta poco verificabili, creando stati d’animo estremamente diversi e mutevoli anche nel giro di spazi brevissimi di tempo. E la nostra attenzione non poteva non andare a quello che sta succedendo in Medio Oriente in Palestina. Immagini e parole di inaudita violenza entrano nelle nostre case come delle bombe. Sembra ripetersi, ciclicamente, un macabro racconto di tragedie che vedono protagonista uno smisurato odio che ha un impatto terribile su tutti noi, in particolare sui nostri figli, sui più giovani e sensibili.

Ne avevamo scritto giusto due anni fa, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, in quel terribile mese di marzo che sembra dimenticato, lontanissimo, e che ci portò in casa le immagini di una nuova, terribile, guerra europea. L’Ucraina ed il conflitto con la Russia si sono oggi ridotti ad un bollettino di guerra dove ogni vita spezzata risulta niente più che un numero.

Un altro fronte, nuove immagini di violenza di uomini su altri uomini hanno preso il posto di quelle provenienti dall’Europa dell’est, rubando loro il primato di una nuova atrocità.

C’è “pornografia” in quello che oggi i media ci mostrano? C’è cioè una morbosità emotiva nell’ostentare spiegazioni di gesti “diabolici” inflitti ad un essere umano, nel mostrare corpi straziati? Sono domande che tutti dobbiamo farci perché ad altre domande siamo chiamati a rispondere e sono quelle, appunto, dei nostri ragazzi.

Ma c’è un modo “giusto” per parlare di quello che sta succedendo in Medio Oriente, in Ucraina, in Africa con i ragazzi? «Se vogliamo individuare un modo corretto, dovremmo partire dal far emergere ciò che questi accadimenti provocano - ci ricordava un preside pedagogista di una scuola paritaria -. Il clima di incertezza non è da sottovalutare, credo allora sia importante, in famiglia come a scuola, creare occasioni che, a partire dalla guerra, lascino spazio all’espressione e all’ascolto di quello che provoca in noi. Del resto, riconoscere, accettare, condividere e vivere le proprie emozioni è la via maestra per diventare forti, resilienti e sensibili gli uni verso gli altri. Ascoltarsi reciprocamente è educarci all’umanità, è un cammino di crescita nella convivenza tra le persone; in altre parole, è già ingenerare l’antidoto alle guerre».

Ancora la scuola dunque come antidoto ai mali del nostro tempo, agli odi verso il diverso, verso lo straniero, il forestiero, verso chi è colpevole di non pensarla come me. La scuola per discernere il vero dal falso, la realtà dalla finzione, il limite dall’eccesso.

«Stiamo bene, abbiamo tanta paura ma stiamo bene». Sono state le prime parole di un sacerdote, frate della Custodia di Terra Santa, amico di Agesc, parroco di Gerico e direttore di una scuola di oltre mille ragazzi in gran parte musulmani ma anche cristiani che abbiamo sentito in questi giorni terribili. «Abbiamo però tanta paura e fatichiamo a continuare a fare lezione, a far uscire i ragazzi dalle loro case dove si sono rinchiusi per la paura, per venire a scuola».

Gino Strada diceva che «le guerre, tutte le guerre, sono un orrore. Non ci si può voltare dall’altra parte». Quello che sta purtroppo accadendo non va lasciato passare sulle nostre teste o lasciato in pasto ai notiziari o ai social, ma deve diventare occasione di riflessione, di approfondimento e di confronto. La guerra si “combatte” nelle aule scolastiche e deve diventare un’attività didattica ed educativa che favorisca la ricerca dei dati, la lettura e l’analisi di informazioni. Il confronto reciproco tra coetanei, deve diventare strumento ideale per educare ai valori fondamentali della convivenza, del rispetto e soprattutto della condivisione di regole che permettano di star bene insieme. È il contesto di classe che deve diventare esso stesso luogo ideale in cui sperimentare che la pace e la convivenza solidale non sono un’utopia, ma una possibilità che hanno le persone.

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Fonte:Avvenire